Rinascere a modo mio: la disobbedienza gentile.

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Era novembre.
Pioveva piano, ma deciso. Di quelle piogge che non fanno rumore, ma che
l’odore ti resta addosso anche dopo ore. Mi ero appena seduta sul bordo del letto, ancora
vestita, con il cappotto umido e il viso segnato da una stanchezza che non era fisica. Avevo
appena chiuso una telefonata, una di quelle che mettono un punto e ti lasciano senza
parole. Silenziosa, definitiva, dolorosa. Avevo appena perso una persona che era stata per
me presenza, radice, compagna di mille avventure. Il lutto non è mai solo la perdita di
qualcuno, è anche la perdita di una parte di sé che esisteva solo accanto a quella persona.
Ed è lì, in quella stanza spoglia e in quel momento grigio, che ho sentito che qualcosa si era
rotto. O forse, che qualcosa era finalmente crollato. Non fuori, ma dentro. Una struttura
antica che mi teneva in piedi per abitudine, per convenzione, per necessità.

Nei giorni seguenti, mi sembrava di sopravvivere per abitudine. Respiravo per inerzia.
Camminavo tra la gente con un dolore cucito addosso come una seconda pelle, invisibile
agli altri ma impossibile da togliere. Tutto mi sembrava troppo: i rumori, le parole, le
domande. E tutto, nello stesso tempo, era insopportabilmente vuoto. Non mi riconoscevo
più. Eppure, sotto pelle, qualcosa ha cominciato piano a muoversi. Un bisogno piccolo,
appena percettibile. Non di ricominciare. Non ancora. Ma di ascoltarmi, forse per la prima
volta.

I libri non mi hanno aiutato a stare meglio, né le frasi motivazionali che gli altri mi dicevano.
Ho imparato a rinascere disobbedendo piano. A piccoli gesti che sembravano niente agli
altri, ma che per me erano rivoluzioni. Come non rispondere più immediatamente ai
messaggi. Come scegliere il silenzio al posto di un finto sorriso di cortesia. Come restare in
casa mentre il mondo mi chiedeva di correre.

È stato difficile, scomodo, invisibile.
Ma è stato mio.

Ci hanno insegnato che la rinascita è rumore, luce, nuovo inizio. Ma spesso, prima di rinascere, bisogna imparare a morire.
Non in senso tragico, ma simbolico: bisogna lasciar andare la versione di sé che si era
costruita per sopravvivere. Quella parte che ha imparato ad accontentarsi, ad adattarsi, a
sorridere anche quando dentro si spezzava qualcosa. Molti di noi vivono vite che non
somigliano alla propria: lavori che non nutrono, relazioni che feriscono, maschere così
stanche da non reggere più nemmeno un’emozione imprevista.
Eppure resistiamo. Perché il cambiamento spaventa.
Perché l’identità che conosciamo, anche se ci limita, ha una cosa che il futuro non ha
ancora: familiarità.

La mia psicologa lo chiama “attaccamento alla sofferenza”.

Preferiamo spesso ciò che ci fa male ma conosciamo, rispetto a ciò che potrebbe farci bene
ma è incerto. Rinascere significa dunque accettare l’ignoto, sfidare il nostro cervello, che cerca sicurezza, e dargli invece fiducia. Significa camminare nel buio con una candela, non
illumini tutto, ma abbastanza per fare un passo.

E tu che mi leggi, forse ti trovi proprio lì.
A un bivio tra ciò che eri e ciò che potresti diventare, e forse ti senti in colpa solo per il fatto
di voler cambiare.
Ti capisco.
Ci hanno fatto credere che la coerenza sia più importante della verità, che “essere sempre
gli stessi” sia un valore.

Ma io ti dico questo: non c’è niente di più coerente che evolversi, di ascoltare la voce che
cresce dentro, seguire il movimento del cuore, anche quando è impercettibile.

La mia rinascita è cominciata così: una mattina in cui ho smesso di chiedermi “come mi
vedranno gli altri?” e ho cominciato a chiedermi: “come mi sento davvero?”

Da lì è cambiato tutto. Lentamente, silenziosamente. Ho iniziato a scegliere me.
Non in modo egoistico, ma radicale. Ho smesso di spiegarmi.
Ho imparato che un confine non è una barriera, ma una forma d’amore, e che prima di
meritare il rispetto degli altri, devo riconoscere il mio verso me stessa, ai miei bisogni, alle
mie idee.

Ciò che non si dice abbastanza è questo:
la rinascita non è una vetta da scalare, ma un terreno da coltivare.
Non è un evento, ma una scelta che si ripete ogni giorno.
Ogni volta che ti perdoni, ogni volta che torni in ascolto, ogni volta che ti prendi cura della parte ferita senza costringerla a guarire in fretta.

Questo è il mio piccolo manuale, sono frasi-mantra che mi ripeto ogni giorno, forse sarà
imperfetto ma è sicuramente ancora aperto, vorrei donarlo a chi, come me, sta provando a
rinascere:

– Non c’è una sola via: ognuno ha il suo ritmo.
– Alcune parti di te andranno perdute. Altre, le più vere, emergeranno.
– Le relazioni cambieranno. Quelle che non reggono la tua verità, forse non erano
autentiche.
– Non devi avere tutte le risposte. Devi solo avere la voglia, anche piccola, di ricominciare.

E a te che stai leggendo, voglio dire questo:
Se sei qui, se senti qualcosa vibrare in queste parole, allora sei già a metà strada.

Perché la rinascita non inizia quando cambi tutto.
Inizia quando smetti di sopravvivere, e inizi a vivere davvero. E forse non ti accorgerai subito del cambiamento. Non sarà un’esplosione, né una luce

abbagliante. Sarà un dettaglio. Un respiro più lungo. Una risposta più sincera.
Una gentilezza che offri a te stesso, senza giudizio.
E sarà lì che, per la prima volta, sentirai di appartenerti di nuovo.

Scritto da: Miriam Lombardi

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